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La “Grande Bulgarie” et l’Italie fasciste
Nous publions ici deux documents relatifs aux relations entre la Bulgarie et l’Italie fasciste :
- Un large extrait de l’article de Carlo Picchio dans la Revue Albania-Shqipni de septembre-octobre 1942 (Rivista Albania-Shqipni, Settembre-Ottobre 1942-XXI)
- Le chapitre « Le drame de la Macédoine » (Il dramma de la Macedonia) du livre de V.A. Martini, Il Mondo inquieto, Milano 1934.
Je produis à la fin de chacun de ces documents un résumé en français.
Ces deux documents montrent que la notion de « Grande Bulgarie » était historiquement fondée du point de vue fasciste italien : le premier retrace la situation régionale après la dissolution de la Yougoslavie pendant la Seconde Guerre mondiale en insistant sur les relations d’amitié entre la Grande Bulgarie nouvellement constituée et l’Italie fasciste, le second, sur « le drame de la Macédoine », expose le point de vue fasciste italien sur les raisons historiques qui légitiment la constitution d’une Grande Bulgarie incluant la Macédoine.
Le présent billet fait suite à « La Grande Albanie et l’Italie fasciste » précédemment publié sur ce blog (ici).
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Carlo Picchio, Rivista Albania-Shqipni, Settembre-Ottobre 1942-XXI.
(…)Per l’Italia e per l’Albania, il problema essenziale è quello dei collegamenti trasversali, nel senso dei paralleli, ed è problema che va acquistando di giorno in giorno maggiore importanza e più assoluto carattere d’urgenza. Il fatto principale che fissa i nuovi termini di questo problema è rappresentato dalle più recenti modificazioni alla carta politica della Balcania e in particolare dal contatto avveratosi, attraverso la regione albanese, fra la più grande Bulgaria e il sistema imperiale della nuova Italia.
Il dissolvimento della cessata Jugoslavia ha tolto precisamente di mezzo uno di quei grossi ostacoli innaturali che la storia ha, nei secoli, opposto all’affermazione dei logici diritti della geografia. La Jugoslavia, che pure pretendeva di rappresentare il cuore vivo della Balcania, si era costituita e aveva vissuto precisamente in antitesi alla funzione naturale del proprio suolo: si era collocata, scontrosa e arcigna, come un baluardo tra l’occidente e l’oriente, nemica all’uno e all’altro e tuttavia impotente a contrastare sia gli impulsi italiani onde tutto si commoveva lo Adriatico, sia l’anelito verso l’ovest che dalla sponda del Mar Nero e dalla riva settentrionale dell’Egeo si manifestava evidente attraverso la travagliata terra macedone.
L’Asse aveva porto alla ostinata Jugoslavia un’àncora di salvezza che questa non seppe afferrare. Forse contrastava troppo alla logicità dell’offerta dell’Asse la illogicità che era l’essenza stessa del regno balcanico. Il proposito di ricondurre il conglomerato serbo-croato-sloveno alla considerazione del compito storico della regione in cui esso aveva potuto sorgere era disperato perchè il riconoscimento di quel compito implicava rinunzia all’azione pertubatrice che i padrini della Jugoslavia le avevano imposto creandola. La soluzione venne perciò, netta e radicale, dalla forza inesorabile delle cose: l’assurdo jugoslavo cessò d’inquinare il centro della Balcania: l’Albania ebbe le terre che da secoli attendevano di esserle ricongiunte; la Bulgaria riaffermò i suoi diritti nazionali e storici sulla terra macedone ed una sola frontiera, destinata ad essere linea di contatto tra due potenze amiche, si sostituì alle frontiere precedenti che volevano essere, e difatto erano, superfici di attrito tra organismi malatti di secolare e recente risentimento e sempre agitati dalla perfida azione sobillatrice di estranei interessati.
Ormai il problema della massima communicazione trasversale transbalcanica è un problema italo-albanese e bulgaro semplificato non solo dalla eliminazione di malevoli terzi, ma dalla cordialità dei rapporti che intercedono tra Roma e Sofia e tra il popolo italiano e il popolo bulgaro. Chiunque ha pratica di cose balcaniche e chi ha seguito, da vicino ed in loco, lo sviluppo di tali rapporti, sa che questa cordialità non è una espressione convenzionale del linguaggio diplomatico, ma una realtà che ogni giorno diventa più viva e più fervida. Roma e Sofia hanno tra loro vincoli spirituali e culturali saldissimi, creati sopratutto dal movimento letterario bulgaro che si orientò, tra la fine dell’ottocento e il principio del secolo presente, risolutamente verso l’Italia dove anche vissero e crearono poeti come Slavejkof e Vazov.
Roma e Sofia hanno inoltre tra loro vincoli di carattere economico che vanno ogni giorno rafforzandosi e basterà, al riguardo, considerare la imponente cifra d’importazioni che l’Italia ha ormai raggiunto per alcuni generi di produzione bulgara, quali il tabacco e le uova.
Questi rapporti culturali ed economici, che si concretano in scambi intelletuali e di mezzi, sono, naturalmente, il presupposto migliore per un’intesa in materia di communicazioni. Strade, servizi aerei e linee telefoniche rappresentano i mezzi per l’attuazione di quegli scambi e il tracciato di quelle strade e di quelle linee interessa necessariamente l’Albania. Il tracciato albanese non soltanto abbrevia le distanze, ma elimina interferenze e controlli da parte di terzi. E’ pertanto comprensibile che questo tracciato abbia formato, e vada formando, oggetto di particolare attenzione da parte delle autorità italiane e bulgare che in questi ultimi tempi si sono occupate dei collegamenti tra i due paesi, discutendone, ormai sotto lo aspetto pratico e concreto, le modalità di attuazione.
Due grandi passi innanzi verso la soluzione del problema, o, più esattamente, dei problemi delle communicazioni italo-bulgare attraverso l’Albania, sono stati fatti in occasione della visita del ministro Riccardi a Sofia, nel maggio 1942 e in occasione della recente venuta del ministro bulgaro Zachariev a Roma. Altri accordi sono stati presi, a quanto ci risulta, sopratutto per le communicazioni telefoniche e per gli allacciamenti radiofonici, nelle conversazioni che hanno avuto luogo a Sofia, nell’ottobre di quest’anno, in seno alla commissione mista per la esecuzione degli accordi culturali fra l’Italia e la Bulgaria.(…)
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Carlo Picchio (1905-1967), écrivain, journaliste et traducteur, écrit cet article en 1942 dans la revue Albania-Shqipni consacrée aux affaires albanaises. Il montre que l’Italie fasciste a, contre la Yougoslavie –laquelle fut démembrée pendant la guerre avant de se reconstituer, après la défaite de l’Axe, sous l’hégémonie de Tito–, favorisé d’une part la Grande Albanie et d’autre part la Grande Bulgarie.
La dissolution de la Yougoslavie en avril 1941 mit fin, selon Picchio, à une aberration géographique. Créée en 1918, la Yougoslavie, qui prétendait être « le cœur vivant des Balkans », n’était en réalité constituée qu’en « antithèse des fonctions naturelles du sol », comme un rempart entre l’Occident et l’Orient ennemi de l’un et de l’autre. Sa disparition répondait à la nature des choses, (à la «forza inesorabile delle cose», la force inexorable des choses) en permettant la réunion des terres historiquement et culturellement albanaises, telles que le Kosovo, dans la Grande Albanie, membre de la Communauté impériale (Comunità Imperiale) fasciste, et la réunion de la Macédoine à la Grande Bulgarie. Une frontière entre puissances amies remplaçait désormais les précédentes lignes de friction entre organismes malades et travaillés par des puissances étrangères à la région.
Picchio rappelle que le royaume de Yougoslavie fut signataire du Pacte tripartite, c’est-à-dire fut un allié de l’Axe, mais qu’il « ne sut pas saisir cette chance de salut », sans doute, ajoute-t-il, parce que la survie de cette entité politique n’était pas compatible avec la stabilité régionale.
Dissoute la Yougoslavie, les communications transbalkaniques devenaient un problème italo-albano-bulgare simplifié grâce aux relations cordiales entre ces États. Picchio affirme que les relations entre l’Italie et la Bulgarie ont leurs bases intellectuelles dans l’orientation italianiste des lettres et de la culture bulgares à partir de la fin du dix-neuvième siècle sous l’impulsion de grands auteurs comme Pencho Slaveykov et Ivan Vazov, qui vécurent en Italie.
Dans le nouveau contexte, Picchio indique que les relations économiques entre Rome et Sofia ne cessent de croître.
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Il dramma della Macedonia
Vito A. Martini, Il Mondo inquieto, Milano 1934, pp. 210-226.
Non crediamo esista in nessuna parte del mondo un paese così travagliato e infelice come la Macedonia.
E’ stato appunto creato in questi ultimi tempi il neologismo «macedonizzare», per indicare un processo violento e pertubatore di colonizzazione nazionalistica che comporta tutti i pericoli attinenti ad una politica di tirannia e di irresponsabilità.
A questo processo di colonizzazione drastica soggiace la Macedonia dall’epoca di quel famoso trattato di Berlino del 1878, che segnò l’inizio più torbido e più turbolento della vita politica di tutta la penisola balcanica.
Oggi la Macedonia è una piattaforma serbo-ellenica di occupazione. Per comprendere in tutta la sua ampia e tragica portata quella che è ormai conosciuta internazionalmente come «la questione macedone», tratteggeremo gli aspetti storici della Macedonia, quegli aspetti così impunemente mistificati dagli scienziati serbi, che per servire la causa dell’imperialismo di Belgrado non si peritano di travisare con singolare disinvoltura quello che è rigorosamente acquisito alla scienza e alla storia.
E siccome una delle giustificazioni più frequenti date dai circoli politici di Belgrado per leggitimare tutte le azioni illegali svolte in Macedonia, consiste appunto nel voler far credere all’opinione internazionale che la Macedonia sia sempre passata come una regione slava etnicamente amorfa, poi diventata bulgara per opportunismo politico anti-ottomano, ma serba di sostanza, assolveremo il compito di analizzare e confutare con ogni obiettività queste asserzioni tutt’affatto strabilianti.
Tutti gli esploratori e geografi e missionari hanno sempre riconosciuto come Macedonia il territorio compreso fra il Mar Egeo ed il Lago d’Ochrida, la Bistrizza, lo Sciar e la Mesta; e come bulgari gli slavi macedoni autoctoni, viventi in quella zona insieme con una minoranza di albanesi, greci, valacchi, turchi ed ebrei, che diverse correnti migratorie portarono ad abitare nei paesi macedoni.
Su questo punto non è possibile mistificare. Su di esso si trovano d’accordo missionari, viaggiatori, storici e sapienti imparziali.
E che i macedoni siano bulgari lo dimostra lampantemente il fatto che essi lottarono tenacemente insieme coi bulgari per l’emancipazione nazionale e politica, etica e religiosa, che sopportarono uniti inauditi sforzi per resistere all’opera di assimilazione del patriarchismo greco, dell’oppressione ottomana, della propaganda panserba (ultima arrivata nei riguardi della Macedonia), che doveva poi rovesciare con singolare semplicismo i termini della storia e dell’etnografia.
Ma vediamo un poco quali origini ha questa propaganda panserba sulla Macedonia, e su quanta verità si sia appoggiata sin dal suo nascere.
Cominciamo anzitutto con una messa a punto: l’antica simpatia veramente disinteressata di Belgrado verso la Macedonia. Nessuno può contestare che la stampa serba, anche quella ufficiosa, della fine del secolo scorso (Jédinstvo, Srbski, Dnevnik, ecc.) non faceva alcuna differenza fra macedoni e bulgari, e diceva che la Macedonia costituiva una compattezza etnografica dallo Sciar all’Egeo, e giungeva persino a stigmatizzare violentemente l’opera tortuosa ed insistente del patriarchismo greco che mirava ad ellenizzare tutta quanta la Macedonia e la Tracia, avendo di mira l’abbaglio risorgente della «magna Grecia».
Queste opinioni che furono generali nelle masse serbe vengono d’altronde riscontrate nelle opere storiche etnografiche linguistiche folkloristiche degli stessi scienziati serbi d’allora.
Se la base scientifica d’una conoscenza integrale e obiettiva sulla Macedonia, subì poi presso la cultura serba un altro orientamento, e fu mistificata tout court, con quel semplicismo facilone che caratterizza in parte quello strano miscuglio di romanticismo e di misticismo, di fatalismo e di ambizione che costituisce la mentalità serba, ciò si deve al fatto che a Belgrado si cercò e si insistette di subordinare la scienza alla politica, modificandola e falsificandola in quei punti in aperta contraddizione coi programmi prestabiliti di espansione.
Non vogliamo soffermarci a lungo sulla constatazione che anche la popolazione serba considera la Macedonia come un paese a sè, etnograficamente compatto, geograficamente distinto, storicamente ed eticamente legato alla popolazione bulgara, ma basterebbe un’altra circostanza per stabilire una volta per sempre quanta falsità cosciente vi sia nelle pubblicazioni serbe sulla Macedonia.
E’ noto che lo storico serbo Milajevic, per aver sollevato alla seconda metà del secolo scorso l’idea del «serbismo macedone», per poco non minacciò di essere esiliato o di essere chiuso in un frenocomio.
Perchè dunque questo voltafaccia della cultura serba sulla Macedonia? questo affannoso creare dei sapienti di Belgrado, nei laboratorii dei loro sofismi, le basi su cui fondare con «giustificazioni storiche» le pretese serbe sulla Macedonia?
Ecco. Con l’occupazione della Bosnia-Erzegovina compiuta violentemente dall’Austria-Ungheria nel 1876 e sanzionata dal trattato di Berlino il 1878, i serbi si videro preclusa l’espansione verso l’Adriatico, alla cui attuazione cominciavano già a lavorare le loro organizzazioni nazionalistiche segrete.
Vienna nel contempo, per tacitare i malumori serbi su quella occupazione e per stornare dall’Adriatico lo sguardo cupido di Belgrado, convinse Re Milan di trovare uno sbocco al suo espansionismo verso sud, verso le zone calde e doviziose della Macedonia che avrebbe così separato per sempre i serbi dai bulgari, effettuando quel principio del divide et impera che fu la base e la ragione di vita di tutta la politica balcanica del Ballplatz.
Una dimostrazione di questo nuovo orientamento dell’azione belgradese, è data intanto da questa dichiarazione che il Ministro serbo degli Affari Esteri d’allora Jovan Ristic, fece in una seduta segreta della Scupcina tenuta a Kragujevaz: che «era tempo che la Serbia cominciasse a pensare ad un ingrandimento al sud dello Sciar Planino» (frontiera settentrionale macedone confinante con la Serbia).
Fu così che si cominciò nei circoli politici e intellettuali a creare con acrobatiche e sofistiche ricerche pseudo-scientifiche una base storica su cui poter fondare validamente i piani d’espansione verso l’Egeo, ed a spendere quasi i tre quarti dei fondi del Dicastero degli Esteri per sovvenzionare emissari e propagandisti incaricati di svolgere in Macedonia un’azione di preparazione ai programmi di colonizzazione serba.
A voler giudicare la deficiente serietà, il carattere antiscientifico e sedicentemente rigoroso di quei «motivi storici» adotatti con strabiliante disinvoltura dagli scienziati serbi, accenneremo ad un periodo, che è uno fra i più sbalorditivi che mai siano stati commessi dal più superficiale e semplicistico e unilaterale cultore di scienze positive.
Nella brochure «bulgari e jugoslavi» edita dalla Associazone jugoslava per la Società delle Nazioni, si riscontra un corollario filologico che tocca il non plus ultra di un cervellotico e risibile sillogisma. Il corollario deriva da una strana ed involuta ricerca etimologica della parola «bulgaro». Si legge infatti: «… e la parola «bulgaro» che designa in Macedonia la parte della popolazione dedicata ai più penosi lavori dei campi, è divenuta quindi un sinonimo di «rustico», donde la parole francese «bougre», dai cui deriverebbe quella di «bulgaro».
A parte la enorme contraddizione in termini che diventa paradossale, ci sembra, questa, una maniera cabalistica e meandrica di ragionare che dispensa da ogni serio commentare.
La storia, quella vera e imparziale, è a portata di mano di chiunque, e sta a dire quanta affinità, anze quanta identità vi sia fra gli slavi autoctoni della Macedonia ed i bulgari, stretti dai vincoli di un medesimo ideale nazionale, da una stessa cultura e religione, dai legami storici di lotte comuni sostenute contro tutte le prevalenze egemoniche mediterraneo-orientali che giuocavano sull’Egeo il ruolo principale delle loro azioni.
E se dovesse occorrere una dimostrazione a tutto questo, basterebbe la sola circostanza che la Bulgaria ha fatto tutte le sue guerre per la Macedonia, come la Francia per l’Alsazia-Lorena e l’Italia per le sue provincie del Nord, e che fu proprio in Macedonia ch’ebbe la prima origine il movimento per l’emancipazione religiosa dei bulgari, movimento che finì per essere accolto a Costantinopoli, dove si riunì un concilio di vescovi bulgari e macedoni per la costituzione di quell’Esarcato che rappresentò nel 1870 un valido punto di appoggio e di riferimento per l’emancipazione integrale del nazionalismo bulgaro.
L’indole di questo studio rapido e sommario non ci consente di approfondire delle indagini erudite per affermare con ogni rigorosità scientifica la personalità etnica, storica e geografica della Macedonia, ma ciò del resto ci sembra fatica superflua come tutte le analisi dirette a dimostrare delle cose evidenti.
Non si può negare il carattere draconiano dell’imperialismo turco concretato attraverso vari secoli sulla piattaforma balcanica, nè la funzione islamica, quindi anticristiana, di cui era investito quell’imperialismo; e se nonostante ciò si continuò sempre presso i turchi a considerare come bulgari gli slavi della Macedonia aggiogata, segno è che la individualità etnografica dei bulgaro-macedoni è cosa assolutamente inconfondibile.
Dall’atteggiamento viennese di sostegno alle mire serbe sulla Macedonia, risultò l’intesa segreta del 1881, in vigore della quale la Serbia si impegnava di astenersi da ogni agitazione in Bosnia-Erzegovina, e l’Austria dal canto suo si adoperava di sostenere Belgrado nelle «rivencazioni sulla Serbia del sud».
Durante la visita di Re Alessandro Obrènovic a Sofia nel 1897, si cercò intanto di arrivare ad una intesa con la Bulgaria sulla base di una amichevole ripartizione del territorio macedone. Ma la politica macedone del Governo sofiota si concentrava in una parola: autonomia. Era appunto in vista del conseguimento del self-government che i macedoni avevano formato nel 1893 l’Organizzazione Rivoluzionaria Segreta, che continua oggi la sua azione antiserba sotto la sigla O.R.I.M., e che fu il terrore di bey turchi, i quali mantenevano la Macedonia sotto un regime di drastica oppressione.
Questa organizzazione irredentistica, sorta per salvaguardare l’esistenza della popolazione e per liberare il Paese da tutti gli oppressori, estese subito la sua rete di proseliti nei vialayeti di Salonico, Monastir, Scopliè, riuscendo a far esplodere nell’agosto 1903 una grave insurrezione popolare, che fu subito represa, ma che provocò nondimeno l’intervento delle Potenze straniere, la cui azione riformatrice e tutelatrice andò però attenuandosi, fino a svanire del tutto nell’epoca in cui la rivoluzione dei «giovani turchi» avrebbe richiesto una maggiore tutela di fronte all’aggressione anticristiana di questo nuovo nazionalismo ottomano sorto impetuoso sulle rovine inaspettate della decadenza sultaniale e califfale.
La Bulgaria, più direttamente minacciata da questo movimento invadente della giovinezza turca risollevatasi nel 1908, dovette allora acconsentire a trovare un aiuto nella Serbia, rinunziando alla sua intransigente politica macedone dell’autonomismo, e piegandosi a negoziare con Belgrado il 13 marzo 1912 un trattato di amicizia e di alleanza, in cui i serbi riuscirono ad includere questa clausola: «In quanto al territorio compreso fra lo Sciar, il Rhodope, il Mar Egeo ed il lago d’Ochrida (cioè quasi tutta la Macedonia), se le due parti contraenti arrivano alla convinzione che una organizzazione in province autonome distinte è impossibile, visto gli interessi comuni della nazionalità serba e bulgara ecc…».
Con questa clausola Belgrado cominciava dunque a parlare ufficialmente di «nazionalità serba» in Macedonia. Il governo belgradese riconosceva intanto come «spettante alla Bulgaria la zona situata all’est di una linea che, partendo dall’antica frontiera turco-bulgara al nord di Kriva Palanka, seguiva la direzione generale di sud-est, fino ad arrivare alla riva nord del lago d’Ochrida; e per regolare la sorte del territorio compreso fra questa linea, il monte Sciar ed il fiume Drina, esso s’impegnava insieme col Governo sofiota di ricorrere all’arbitrato di Pietroburgo e di accettare la sua decisione.
Senonchè, in seguito alla vittoria conseguita contro i Turchi della Lega balcanica (Serbia, Montenegro, Grecia, Bulgaria), Belgrado richiese a Sofia la revisione dell’accordo sulla Macedonia, mirando ad ottenere il massimo delle concessioni su quel territorio; ma come la Bulgaria aveva già fatto delle gravi e dolorose rinunzie col trattato del marzo 1912, rigettò la richiesta di Belgrado, e dal conflitto diplomatico che ne sorse, scoppiò la seconda guerra interbalcanica, da cui la Bulgaria uscì disfatta e spogliata.
Col trattato di Bucarest del 10 agosto 1913 la Serbia s’impossessò di gran parte della Macedonia, dividendola con la Grecia, ai termini d’un trattato segreto concluso con essa a Salonico il 2 giugno 1913.
Dall’«Inchiesta nei Balcani» eseguita da una commissione della Dotazione Carnegie per la pace internazionale, risulta che la Macedonia fu considerata a Belgrado «une sorte de colonie conquise que les conquérants pouvaient administrer à leur gré».
Con l’occupazione serba della Macedonia, avvenuta secondo il principio contemplato nell’art. 3 del patto segreto serbo-greco del 2 giugno 1913, cioè sulla base di operazioni militari, la Macedonia entrò nella fase più angosciosa della sua storia.
Il panserbismo, ch’era deciso a tutto per seguire ed effetuare i suoi plani di pressione su Salonico, si dette allora ad un’opera vandalica e terroristica di distruzione di tutto ciò che costituiva una nota di bulgarismo, appunto perchè si perdesse in Macedonia ogni traccia bulgara che potesse ritardare od ingombrare il processo serbo di colonizzazione.
Ancora nel 1912, sotto il dominio ottomano, la Macedonia contava 5 vescovi, 647 preti, 677 chiese, 54 capelle e 48 conventi, 556 scuole primarie con 847 insegnanti e 32.155 scolari, 24 «proginnasi» con 106 professori e 1.955 allievi, 5 ginnasi con 25 professori e 875 discenti.
Tutti questi gangli vivi del sentimento religioso e dell’idea nazionale dei bulgaro-macedoni, furono distrutti non appena Belgrado estese su quel territorio il suo dominio, facendo funzionare le dispotiche e sadiche gendarmerie, l’insidia dei comitagi, l’oppressione autoritaria dei jupan.
Questo processo draconiano di violenta colonizzazione serba, che dibattezzava tutto ciò ch’era bulgaro, non fece intanto che esasperare il nazionalismo dei bulgari, i quali erano riusciti col trattato di Santo Stefano ad incorporare nelle frontiere della madrepatria tutto il territorio macedone, e s’erano battere le due guerre balcaniche del 1912 e 1913, per salvare quel territorio dall’oppressione ottomana prima, e dopo dalla ambizione espansionistica dei serbi.
Noi siamo convinti, nonostante si sia detto da più parti che Re Ferdinando di Bulgaria fu di tendenza germanofila e si preparava quindi durante il conflitto europeo a scendere in campo a fianco delle truppe prussiane, che se le Potenze alleate avessero fatto al Governo di Sofia un’offerta precisa nei riguardi della Macedonia, la Bulgaria sarebbe intervenuta nel conflitto a fianco dell’Intesa. Ma questa offerta non fu mai avanzata, prima per la esitazione degli Alleati e poi perchè Belgrado riuscì validamente ad opporsi ad ogni tentativo di questo genere.
Non doveva quindi stupire nessuno l’atteggiamento di Sofia, quando partecipò alla guerra nel blocco degl Imperi Centrali, appunto perchè la Bulgaria non sa e non può disgiungere il suo ideale nazionale dalle sorti della Macedonia, che costituisce cellula viva, parte integrante della sua storia.
La Bulgaria combatteva per la Macedonia come l’Italia per il Brennero e l’Adriatico. Essa non faceva una guerra di conquista, sosteneva una lotta ch’era considerata sacra e giusta, perchè illuminata da un sentimento di umana giustizia e dalla fede incrollabile di poter liberare una popolazione ch’era diventata nei Balcani doloroso elemento sperimentale di pratica imperialistica di quanti intendevano assicurarsi una posizione di predominio nelle penisola.
Ma la guerra mondiale si risolse in un vero disastro per la Bulgaria; e se essa, mutilata e avvilita, non ebbe più il modo di occuparsi della Macedonia, i macedoni non cessarono di pensarvi.
Poi vennero i trattati di pace, gli accordi internazionali conclusi per sanzionare il frusto e menzognero principio della «guerra alla guerra»; e le diplomazie delle Potenze alleate e associate, invece di dare alla Macedonia una risoluzione che corrispondesse allo spirito e alle vedute dei 14 punti di Wilson, mistificati e falsati, preferirono concludere la penosa questione macedone con la soluzione generica che si credette dare alla esistenza dei diritti delle minoranze nazionali.
La questione macedone diventava quindi semplicemente una questione di minoranza etnica. Un cinquantennio di storia ardente e sanguinosa si concludeva semplicisticamente a San Germano, dove la Serbia e la Grecia firmavano rispettivamente con le Potenze alleate e associate degli accordi relativi alle minoranze dei loro Stati, stipulazioni messe sotto garanzia della Società delle Nazioni il 29 novembre 1920.
E con ciò?
L’umanitarismo wilsoniano e lo spirito di pace e di serena collaborazione internazionale tenuto solennemente a battesimo nel Palazzo di Versailles non si riduceva che a poche clausole di contratti diplomatici eluse e inosservate poi dagli egoismi megalomaniaci degli Stati maggioritari.
Gli articoli 51 e 60 del Trattato di San Germano concluso il 10 settembre 1919 stabilivano che «le minoranze etniche sono quelle che differiscono dalla maggioranza delle popolazioni, per la razza, la lingua o la religione».
Per eludere quindi gli obblighi di cui s’erano impegnati la Serbia e la Grecia nei riguardi delle loro minoranze nazionali, s’incominciò a Belgrado a rimettere in auge tutta quella falsa letteratura storica e scientifica sulla Macedonia, la quale pretenderebbe di affermare il principio che quella regione costituisce geograficamente ed etnicamente una appendice naturale della Serbia del Sud; ed a Atene a proclamare con maggiore semplicismo che le popolazioni macedoni sono dei «greci bulgarofoni».
Da queste premesse pseudo-scientifiche dovevano poi procedere quei sistemi violenti di serbizzazione ed ellenizzazione di tutta la Macedonia.
Intanto oggi l’opinione pubblica europea è scarsamente o falsamente informata della dolorosa condizione in cui versa un popolo onesto e laborioso, fiero e tenace, che sente vigoroso e caldo il sentimento nazionale e religioso, e non può dimenticare le lotte sanguinose sostenute dagli avi per la liberazione dai dominatori.
Le continue petizioni e proteste inviate a Ginevra dalle diverse delegazioni macedoni attestano chiaramente la brutalità dei sistemi disumani adotatti da Belgrado in vista della totale assimilazione della Macedonia. Esse ci informano che sono state chiuse sino ad oggi 541 scuole bulgare con 37 mila scolari, espulsi 1013 insegnanti, confiscate e trasformate in chiese ortodosse serbe 761 chiese bulgare, cacciati sei vescovi, perseguitati e sterminati 833 sacerdoti; distrutte tutte le biblioteche e sale di lettura; proibite le pubblicazioni di periodici bulgari in Macedonia; interdetto l’uso della lingua bulgara in tutte le manifestazioni pubbliche e private della vita; cambiati i nomi patronimici cui si è attribuita la desidenza serba caratteristica in «ic»; proibita l’assegnazione di nomi nazionali ai neonati, che vengono inveci scelti da una lista preparata dalle autorità ecclesiastiche serbe; imposto dei matrimoni fra giovinette e donne macedoni con gendarmi serbi inviati in Macedonia; precluso l’accesso a tutti gli uffici e a tutte le pubbliche funzioni agli intellettuali macedoni…
A completare l’abominevole quadro vi ha poi una elencazione di delitti che i serbi hanno perpretato in Macedonia dal 1 gennaio 1919 al 1 gennaio 1926: 263 assassinii, 178 violazioni carnali di cui 43 su ragazze minore di 13 anni, 1342 case incendiate, 4850 arresti arbitrarii, 12 millioni e mezzo di dinari estorti sotto minaccia di morte, 5445 persone di tutte le età crudelmente maltrattate…
Per sfuggire a questa furia sadica di devastazione sono intanto emigrati più di 300 mila macedoni. E da Belgrado non si accenna nullamente ad attenuare queste persecuzioni, anzi, il premiare i gendarmi che commettono atti di iconoclastica e sanguinaria brutalità, aizza ed incoraggia questa campagna di destruzione.
Si è tentato diverse volte a Belgrado di inorbitare nella propria azione balcanica la politica di Sofia, mirando magari a preparare quell’annessione della Bulgaria che i panserbisti più infervorati definiscono «la Jugoslavia orientale», e che le sfere della massoneria balcanica pretenderebbero di propiziare secondo un falso concetto della parola «jugoslavo» come ce l’aveva il dittatore serbofilo Stambolisky; ma fra Sofia e Belgrado c’è il grande abisso della Macedonia, nonostante si sia riusciti a firmare le convenzioni del Pirot e ad includere nei programmi dei congressi balcanici di Atene e di Salonico l’intenzione più platonica che reale di voler risolvere il problema minoritario, vero ed unico ostacolo ad ogni avviamento d’una politica d’intesa.
Noi abbiamo la indubbia e ferma convinzione che l’unico ostacolo che si possa opporre a tutti i tentativi di pace compiuti dagli Stati balcanici, sia costituito dalla Macedonia; come siamo convinti che la penisola balcanica avrà sempre una esistenza precaria ed oscillante fino al giorno in cui non si saranno riconosciuti alla tribolata Macedonia tutti i suoi giusti ed incontrovertibili diritti.
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Vito Augusto Martini est un auteur italien spécialiste des questions de géopolitique, collaborateur de la revue fasciste Gerarchia.
Son ouvrage Il mondo inquieto de 1934 comporte un chapitre sur « Le drame de la Macédoine », reproduit ci-dessus et que je résume.
Les maux de la Macédoine moderne commencèrent, selon Martini, avec le traité de Berlin de 1878 entérinant l’occupation de la Bosnie-Herzégovine par l’Empire austro-hongrois, lequel traité conduisit en 1918, à la fin de la Première Guerre mondiale, à la création de la Yougoslavie, incluant une large partie de la Macédoine, l’autre revenant à la Grèce. Celle-ci devint alors, selon Martini, « une plateforme d’occupation serbo-hellénique », une terre de colonisation étrangère.
Cette occupation et cette colonisation furent justifiées par les nouveaux intellectuels serbes de Yougoslavie au nom d’un « serbisme macédonien », dont le père, l’historien serbe « Milajevic » (sic : Milos Milojevic), à contre-courant de toutes les idées établies sur la question dans la moitié du dix-neuvième siècle, fut menacé dans son propre pays pour ses idées. À l’époque, il semblait évident aux Serbes eux-mêmes, dit Martini, que les Macédoniens sont des Bulgares, et l’intelligentsia serbe de l’époque, partant de ce fait, dénonçait d’ailleurs les activités panhelléniques dans la région.
Une volte-face se produisit sur ces questions après l’annexion de la Bosnie-Herzégovine par l’Empire des Habsbourg. Cette annexion fermait aux Serbes la voie de la mer Adriatique, à laquelle travaillaient leurs organisations secrètes, et Milan IV de Serbie en vint donc à tourner ses regards vers la Macédoine, utilisant pour cela les théories jusqu’alors réputées sans fondement de Milojevic.
Un compromis secret (intesa segreta) fut conclu entre l’Empire austro-hongrois et la Serbie, selon lequel la seconde s’engageait à renoncer à toute agitation en Bosnie-Herzégovine en échange du soutien de l’Empire aux visées de la Serbie sur la Macédoine, qui fut alors dénommée « Serbie du Sud ». Dans le même temps, la Serbie se heurtait, dans ses démarches diplomatiques vis-à-vis de la Bulgarie, à la position intransigeante de cette dernière en faveur de l’autonomie de la Macédoine.
La Bulgarie fut cependant conduite à des compromis avec la Serbie dans le cadre de la Ligue balkanique en lutte pour l’indépendance des Balkans contre l’Empire ottoman. Le refus de la Serbie de revenir sur ces compromis conduisit à la guerre interbalkanique de 1912, où la Bulgarie fut battue, la Macédoine passant par le traité de Bucarest de 1913 entre les mains de la Serbie et de la Grèce. Dans la partie de Macédoine qu’ils occupèrent, les Serbes se livrèrent à la destruction systématique de toutes les traces culturelles de « bulgarité », perçus comme autant d’obstacles à la politique de colonisation serbe projetée par le gouvernement.
C’est là, selon Martini, la raison pour laquelle la Bulgarie entra dans le premier conflit mondial aux côtés des Empires centraux, la Triple Entente soutenant Belgrade et ne semblant nullement disposée à revenir sur le statut de la Macédoine : la Bulgarie combattait pour la Macédoine contre un nouvel impérialisme serbe dans les Balkans.
Les suites de la Première Guerre mondiale furent désastreuses pour la Bulgarie. La question macédonienne, loin d’être traitée au chapitre des quatorze points du président Wilson, fut abordée comme une question de minorités nationales de la Yougoslavie nouvellement créée et de la Grèce, solution que ces deux États s’empressèrent de ratifier. Pour éluder ces clauses elles-mêmes, les Grecs ne parlaient plus des Macédoniens de leur territoire que comme de « Grecs bulgarophones », et les Serbes de Yougoslavie continuaient d’exploiter la littérature pseudoscientifique relative à leur hypothétique « Serbie du Sud », sur laquelle s’appuyèrent les progrès subséquents de serbisation de la Macédoine, malgré les multiples délégations envoyées par les populations de Macédoine à la Société des Nations à Genève, dénonçant les fermetures d’écoles bulgares, les expulsions et assassinats d’enseignants, la confiscation d’églises bulgares et leur transformation en églises orthodoxes serbes, les expulsions et assassinats de prêtres, l’interdiction des publications en langue bulgare, de même que l’interdiction de la langue dans toutes les manifestations de la vie publiques et privées, l’interdiction des patronymes bulgares, les mariages forcés des jeunes filles macédoniennes avec des soldats serbes, l’exclusion des intellectuels macédoniens de tous emplois publics, etc. Pour fuir ces persécutions et les autres formes de violence exercées contre la population, 300.000 Macédoniens fuirent leurs foyers.
Pendant ce temps, les intellectuels panserbes se mettaient à parler de la Bulgarie elle-même comme d’une « Yougoslavie orientale ».
C’est ainsi que Martini décrit la question macédonienne en 1934.
Nous avons vu dans la première partie de ce billet que la dissolution de la Yougoslavie à la suite de son occupation par les forces de l’Axe était décrite par la diplomatie fasciste italienne comme un événement favorable à la Grande Bulgarie. C’est bien le cas puisque, après la capitulation du gouvernement yougoslave, la Bulgarie annexa la plus grande partie de la Macédoine, jusqu’à la frontière de la Grande Albanie (à savoir, toute la Macédoine serbe et l’est de la Macédoine grecque). Les historiens s’accordent à dire que la population macédonienne fit bon accueil aux Bulgares (John R. Lampe, Yugoslavia as History, 2000). Le gouvernement de Sofia gouverna sur la Macédoine jusqu’à la « libération » et la reconstitution de la Yougoslavie sous le dictateur Tito.
Comme dans le cas de l’Albanie, dont le Kosovo est à ce jour indépendant, la Macédoine est aujourd’hui, après bien des vicissitudes, un État indépendant de la Bulgarie nommé République de Macédoine du Nord ; dans les deux cas, les avocats des concepts de Grande Albanie et de Grande Bulgarie affirment que cette fragmentation, cette « balkanisation » de leurs territoires est un compromis que les grandes puissances occidentales concèdent à leurs ennemis.
La langue officielle de la Macédoine du Nord est le macédonien, dont voici ce que dit Wikipédia : « La langue la plus proche du macédonien est le bulgare, qui possède le plus haut niveau d’intelligibilité. Avant leur codification en 1945, les dialectes macédoniens étaient d’ailleurs considérés pour la plupart comme faisant partie du bulgare. Certains linguistes le pensent encore, mais un tel point de vue est connoté et politiquement sujet à controverse » (avec renvoi à : Hugh Poulton, Who Are the Macedonians? 2000). La politique des Anglo-Saxons ayant de longue date soutenu le panserbisme dans les Balkans, avant d’ouvrir les yeux sur la nature de leur protégé dans les années 1990, qu’une source anglo-saxonne donne le dernier mot aux opposants de la connexion linguistique entre bulgare et macédonien n’est nullement étonnant. (Et qu’une source en français la reprenne sans le moindre examen critique, n’est malheureusement que trop conforme à la qualité de l’intelligence française.)
Documents. La “Grande Albanie” et l’Italie fasciste
Les documents italiens qui suivent sont sans le moindre doute publiés pour la première fois sur internet, et je donne à la suite de chacun un résumé en français.
La Grande Albanie était un État considéré par l’Italie – qui avait déposé le roi Zog à l’appel, dixit le régime fasciste, des nationalistes albanais – et ses alliés comme souverain au sein de la Communauté impériale (Comunità Imperiale) qu’elle constituait avec l’Italie.
À ce jour, les Italiens sont, d’après plusieurs témoignages reçus personnellement, considérés comme amis du peuple albanais, et les touristes italiens sont particulièrement bien accueillis : à l’aéroport de Tirana, par exemple, on parle anglais et italien pour les touristes. (La réciproque n’est pas nécessairement vraie, en particulier avec les flux migratoires de l’Albanie vers l’Italie et la montée en Italie d’un discours anti-immigrationniste.)
L’islam albanais (70 % de la population du pays et 90 % au Kosovo, aujourd’hui indépendant après être passé de la Grande Albanie à la Yougoslavie) ne posait pas de problème particulier pour l’intégration du pays dans la Communauté impériale fasciste. D’ailleurs, si les juifs étaient exclus du Parti fasciste albanais, ce n’était nullement le cas des musulmans.
Le traité de Versailles avait considérablement avantagé les Serbes dans la région et livré les Albanais à leur vindicte séculaire. Les Serbes menèrent à cette époque au Kosovo, inclus dans la Yougoslavie créée en 1918 (sous le nom de « Royaume des Serbes, Croates et Slovènes », produit idéologique d’un panslavisme agressif), une véritable politique de terreur. La création de la Grande Albanie avec l’aide de l’Italie fasciste consista à soustraire les populations albanaises du giron d’États panslaves.
Documents :
1) Chapitre « Revendications albanaises » de l’ouvrage de géopolitiques Il Mondo inquieto (Milan, 1934) de Vito Augusto Martini.
2) Article La trahison anglo-saxonne des petits États par Giovanni Ansaldo, dans la revue italienne Albania-Shqipni de janvier-février 1943.
3) Déclaration du Premier ministre albanais Maliq Bushati sur les fondements de l’État albanais (Albania-Shqipni, janvier-février 1943)
4) « Le peuple albanais réaffirme sa confiance dans la destinée de la Patrie en adressant une pensée reconnaissante au Souverain et au Duce. » (Albania-Shqipni, janvier-février 1943)
5) « La riposte de l’Albanie aux ennemis de son intégrité ethnique et territoriale » (déclaration du Premier ministre Mustafa Kruja) (Albania-Sqhipni, décembre 1942)
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Membre de l’organisation paramilitaire Armée nationale albanaise (Armata Kombëtare Shqiptare AKSh) créée en 2001
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Vito Augusto Martini, Il mondo inquieto, Milano 1934, pp. 227-233.
Rivendicazioni albanesi
Dicono che l’Albania sia un paese misterioso quasi come il Tibet. Questa impressione dev’essere stata certamente determinata da quel carattere di orgoglio e di isolamento dei fieri e laboriosi montanari schipetari, i quali sono sempre rimasti apatici e chiusi a tutti i tentativi di colonizzazione latina, slava, greca e ottomana.
Ciò spiega quindi l’accanimento tetragono, la tenacia ostinata di tutti coloro che s’illudevano di ridurre l’Albania ad una strategica appendice territoriale integrante i loro ambiziosi imperialismi, e chiarisce tutta una serie sistematica di illegali azioni tentate dai serbi, i quali si rifiutano di attribuire al piccolo e pacifico territorio qualsiasi attributo di autonomia e di sovranità, considerandolo invece come elemento reintegrativo dell’attuazione del loro sogno egemonico, che si ispira al meteorico impero di Duscian e non sa disgiungersi dalla condizione di un assoluto dominio sull’Adriatico.
Occorre fermarsi su questo punto e non distogliere mai lo sguardo da tutto quel lavorio metodico e lineare che si svolge in Serbia, e specialmente nella «Jadranska Straza», per rendere l’Amarissimo un «mare jugoslavo», secondo una falsa e ambiziosa suggestione storica radicata nella nuova mentalità dei serbi mediante il fascino facile e retorico d’un romanticismo nazionalista.
Le falsità ambigue, le manovre tendenziose, gli allarmi montati ad arte da tutta la stampa serba ammaestrata ed ispirata dalle sfere dirigenti, a danno della Nazione albanese e dell’Italia, perseguono appunto il fine di determinare una situazione adriatica falsa, suscettibile di provocare preoccupazioni internazionali.
L’ultimo attentato contro re Zog e la distribuzione di truppe serbe sul confine jugoslavo-albanese sono un ammaestramento.
Il territorio albanese ha sempre bruciato d’ambizione il sogno dei panserbisti. E se non fosse stato per l’aiuto dell’Italia prestato alla piccola e fiera nazione subito dopo gli armistizi, è certo che quel territorio si sarebbe trasformato in un lauto banchetto per l’appetito slavo-greco.
Non c’è nessun settore politico del mondo così complesso e caotico come la penisola balcanica. Un territorio relativamente piccolo, che comprende diversi gruppi nazionali in urto di tradizioni storiche e di aspirazioni politiche, e quel che più conta, permeati quasi tutti d’una concezione imperialistica ed egemonica del divenire della loro vita, deve far comprendere quale lotta a furi di gomitate sono costrette a condurre le diplomazie e le popolazioni delle varie Nazioni.
L’Albania diventa quindi una specie di preda stretta nei tentacoli invisibili di quella piovra diplomatica della Serbia la quale non sa e non vuole ammettere in Balcania altre funzioni di supremazia che non siano da essa esercitate.
Ormai non si possono più fare misteri sulla natura e sull’ingranaggio delle associazioni segrete panserbe, le quali costituiscono una valida ed efficace substruttura del Governo belgradese, ed agiscono illegalmente nei territori confinali dietro precisi ordini ed in vista di altrettanti precisi obiettivi. Trentacinque invasioni brigantesche serbe effetuate in zona albanese in pochissimo tempo, congiunte a quei certi metodi di violenta serbizzazione contro gli albanesi assoggettati e alla campagna diffamatoria esercitata per mezzo della stampa e in tutti i modi contro l’Albania, stanno ad indicare quali siano le direttive di Belgrado anche nei riguardi degli schipetari. Se rivolgiamo un po’ lo sguardo indietro, vediamo subito su quale piano illegale e tortuoso si sia sempre messa l’azione diplomatica della Serbia per incorporare nei suoi nuovi confini anche il territorio albanese.
Già sin dall’inizio della guerra condotta contro i Turchi della Lega balcanica, l’Albania divenne una piattaforma di occupazione serba, greca e montenegrina; e non si accennò per niente a sgombrarla nemmeno quando veniva sanzionata nel 1913 dalla Conferenza di Londra l’indipendenza albanese, e la potente Cancelleria di Vienna svolgeva un’azione energica perchè i serbi si decidessero ad abbandonare la zona così violentemente e barbaramente occupata. Ci volle nientemeno che un vero ultimatum della Ballplatz perchè la Serbia si piegasse ai voleri degli Absburgo, non cessando però di distogliere lo sguardo da Scutari e da Durazzo.
Quando infatti, a guerra ultimata, gli italiani estendevano l’occupazione su tutto il Paese da cui si erano ritirati gli austriaci, e favorivano la costituzione di un Governo albanese e la formazione d’una delegazione diretta da Turkan Pascià e inviata alla Conferenza della pace, la Serbia andava rivolgendo invito alle Potenze perchè le venisse riconosciuto il mandato di organizzare l’Albania. Contemporaneamente le bande armate svolgevano nel territorio albanese una serrata campagna disfattista, gettando terrore e seminando rovine.
Il Comitato dei Kossovesi presentò allora alle Potenze quest’orribile bilancio: 12.371 albanesi massacrati e bruciati, imprigionati 22.100, 1655 scudisciati, 6000 case distrutte, 10.525 famiglie depredate; tutti i villaggi della regione di Plava, Susinise e Vantai distrutti, la borgata di Radisefca incendiata, 30 villaggi di Dreniza ridotti a rottami e a ceneri. E tutto questo in pochi mesi: all’inizio del ‘19. Sembrava fosse tornata nei Balcani la furi attilesca e devastatrice delle antiche bande tartariche.
L’Albania ha subìto in un cinquantennio tre grandi mutilazioni: la prima col trattato di Berlino del 1878 che attribuì alla Serbia dei territori prettamente albanese: Vrania, Nish, Lescovaz; la seconda nel 1913 con la guerra balcanica che assicurò a Belgrado altre regioni albanesi, come Prizzen, Mitroviza, Pristina, Gillan, Skopliè, Kumanovo, Dibra, ecc.; e la terza nel 1919 alla Conferenza degli Ambasciatori di Parigi, in seguito alla quale la Serbia si avvantaggiò sul Monte Velicicu, sulla piana della Metoia, sull’altra Drina, sulla congiungente Dibra-Struga con le terre adiacenti. Altri territori passarono in seguito a questi trattati nelle mani dei greci e dei montenegrini.
Così che la Nazione albanese di più di due milioni di abitanti, ne comprende ora circa 800 mila, i rimanenti essendo così suddivisi: 800 mila in Jugoslavia, 215 mila in Romania, 80 mila in Italia dove vivono in fiorenti colonie (Puglia, specialmente) e 8 mila negli Stati Uniti d’America.
Gli Albanesi reclamano dalla Serbia, fondando su concetti di giustizia le loro richieste e suffragandole con incontrovertibili diritti storici, la restituzione di Antivari, Tuci, Spizza, Hoti, Gruda, Triebsi, Podgoritza, Plava, Gucia, Berana, Senizza, tutto il circondario di Mitrovizza e Pristina, parte del circondario di Skopliè, Calcadelen, Gostivar, Chicevo, Dibra, Ocriba, Prespa.
Intanto gli Albanesi asseriscono che, contrariamente a tutte le statistiche interessate, i connazionali aggregati al regime-capestro di Belgrado siano più d’un milione. Non si tratta più quindi d’una minoranza etnica oppressa e angariata, ma addirittura della maggioranza nazionale, la quale, fiduciosa delle fortune del Governo di Tirana vi attinge la forza morale per perseverare contro tutti i tentativi violenti adottati dal panserbismo in conformità dei presupposti imperialistici della unificazione nazionale jugoslava.
Da Belgrado però non si abbandona nessun mezzo, neanche illegale e barbarico, per far scomparire dentro i confini del suo regno ogni traccia di schipetarismo. Sono state abolite le scuole, interdetto l’uso della lingua nazionale, spogliati delle proprietà terriere i sudditi albanesi, distribuendole ad elementi serbi, russi bianchi ed anche montenegrini, obbligati forzatamente ad immigrare nei territori albanesi. La stampa schipetara è condannata al più feroce ostracismo; e della rigorosità draconiana e sferzante della gendarmeria e del terrorismo dei comitagi attestano le varie e poderose proteste inviate alla S.d.N.
A non voler considerare nemmeno l’esoso e vessatorio fiscalismo che angaria gli Albanesi come tutte le altre minoranze jugoslave (che non potendo pagare le altissime imposte, si vedono portar via anche l’ultimo capo di bestiame); le masse schipetare assoggettate vivono sotto una cappa di implacabile oppressione, vigilate da gendarmi e da proseliti della «Ceka».
Quello degli albanesi costituisce quindi un altro debole pilastro sul quale si fonda lo Stato panserbo, il quale ostenta della forza e del potere, mentre è tarato da tisi costituzionale inguaribile.
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Vito Augusto Martini est un auteur italien spécialiste des questions de géopolitique, collaborateur de la revue fasciste Gerarchia.
Son ouvrage Il mondo inquieto (Le monde inquiet) de 1934 comporte un chapitre sur les « Revendications albanaises », dans lequel l’auteur expose la situation faite aux Albanais, qui préfigure la politique grande-albanaise de l’Italie fasciste.
Je le résume.
La volonté hégémonique des Serbes dans les Balkans s’exprime en particulier par une agressivité caractérisée à l’encontre des Albanais en tant qu’obstacle à une domination serbe sur la mer Adriatique, à la volonté serbe de faire de l’Adriatique une « mer yougoslave ». (À noter que, dans ses frontières actuelles, c’est-à-dire sans, notamment, les territoires revendiqués par les Albanais dans la Grande Albanie ou Albanie ethnique [Shqipëria natyrale], la Serbie n’a pas d’accès à la mer.) Face à cette situation, l’Italie, le voisin de l’autre côté de l’Adriatique, a toujours pris le parti albanais face aux volontés expansionnistes et annexionnistes serbes.
Au moment où écrit l’auteur, l’Albanie, rappelle-t-il, a subi en cinquante ans trois grands démembrements, le premier avec le traité de Berlin de 1878, le second avec la guerre des Balkans de 1913 et le troisième à l’issue de la Première Guerre mondiale, tous au profit de la Serbie, et la nation albanaise est ainsi passée en un demi-siècle de deux millions à quelque 800.000 habitants.
Les Albanais des territoires acquis par la Serbie sont soumis à la discrimination et à une véritable terreur d’État : écoles fermées, interdiction d’employer la langue albanaise, spoliations et distribution des terres appartenant aux Albanais à des Serbes, fiscalité vexatoire… Les premiers mois de 1919, notamment, donnent lieu à des massacres de grande ampleur au Kosovo par l’armée serbe. Les réclamations albanaises auprès des puissances étrangères et de la SDN sont ignorées.
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Giovanni Ansaldo, Il tradimento anglosassone dei piccoli stati, Albania-Shqipni, Febbraio 1943-XXI.
Le potenze anglo-sassoni – fu detto allora e ripetuto poi, infinite volte – rappresentavano le forze del bene in lotta aperta contro lo «spirito del male». Mentre, nel cuore dell’Europa un orco orrendo faceva della strapotenza una legge e della agressione un sistema, i puri campioni delle democrazie snudavano la loro spada incontaminata a tutela del diritto dei più deboli. …
Fu Londra a dare per prima il segno di questa revisione della sua «politica tradizionale», facendo sottoscrivere il 28 maggio dello scorso anno [1942] da Eden il famoso trattato in cui, cedendo alle richieste di Molotoff, si riconosceva alla Russia il diritto ad una «zona di sicurezza verso Occidente». La formula era più ambigua che oscura, e non mancò chi si chiese, allora, come fosse possibile conciliare, ad esempio, questa «zona di sicurezza» colle pretese di restaurazione dal sedicente Governo di Sikorski. Domande indiscrete che rimasero senza riposta. Gli inglesi, è vero, avevano cominciato a «mollare» piccoli stati. …
Formalmente, la posizione è immutata. Inghilterra e Stati Uniti rimangano ufficialmente i «protettori» e i «garanti» dei piccoli stati, che la loro politica ha spinto, uno dopo l’altro, in autentici abissi senza fondo. Ma basta tendere l’orecchio e leggere attraverso le righe più o meno ispirate di certi «portavoce», per capire come e quanto il tono, nei loro confronti, sia radicalmente cambiato. Non si dice loro apertamente che nell’Europa di domani essi dovranno piegarsi alla soggezione sovietica; ma ci si sforza per farlo comprendere loro, in tutti i modi possibili e immaginabili. Tutti i discorsi, attorno alla «necessità di una direzione unitaria della politica europea» ; tutti gli accenni ad una «funzione continentale» della Russia non tendono ad altro scopo. Perfino quel Walter Lippmann, il giornalista ebreo che si vanta di essere il più accreditato esponente della opinione americana, si dimentica molto che ha scritto e declamato, nei tempi passati, contro il «pericolo» rappresentato dalla Germania e dall’Italia, contro la «sfera autonoma di decisione delle piccole nazioni»; e dichiara, senza ambagi, che una Europa divisa e frantumata, come lo è stata finora, non può andare avanti, e che il controllo russo è una necessità per tutti ma in particolare per i piccoli stati. E un altro accreditato scrittore americano, Costantino Brown, dichiara che «nel dopoguerra la Russia potrà a ragione affermare che la sua influenza nel continente europeo è necessaria per la salvaguardia della pace, finchè l’Europa continua ad essere divisa, in piccoli e deboli stati indipendente».
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Giovanni Ansaldo est un journaliste et écrivain italien. D’abord signataire du Manifeste des intellectuels antifascistes en 1925 et subissant la censure du régime, il rentra en grâce en 1937 et fut nommé rédacteur en chef du journal Telegrafo.
L’article La trahison anglo-saxonne des petits États a été publié dans le numéro de janvier-février 1943 de la revue italienne Albania-Shqipni. Dans cet article, Ansaldo rappelle tout d’abord que les puissance anglo-saxonnes se donnent à connaître comme les forces du bien en lutte contre « l’esprit du mal » (quelque chose que nous connaissons encore aujourd’hui : cf. le slogan néoconservateur « l’axe du mal ») et que c’est cette philosophie, si l’on peut dire, qui lui fait adopter une attitude de protection des petits États face aux menace annexionnistes de voisins plus puissants et belliqueux, attitude qui avait motivé son entrée en guerre aux côtés de la France contre le Troisième Reich, en défense de la Pologne.
Or le Royaume-Uni change de philosophie au cours de la guerre quand son ministre des affaires étrangères Anthony Eden signe le 28 mai 1942 avec le ministre soviétique Molotov un accord reconnaissant à l’URSS le droit à une « zone de sûreté sur son versant occidental », c’est-à-dire le droit à l’annexation par l’URSS des États voisins plus petits à sa frontière de l’Ouest.
En même temps, l’Angleterre et les États-Unis continuent, comme si rien n’était changé, de se déclarer les protecteurs des petits États. Or, si personne ne dit que l’Europe devra, après une victoire des Alliés, se plier à une domination soviétique, c’est bien à quoi tendent les discours sur la « nécessité d’une direction unitaire de la politique européenne » et sur la « fonction continentale » de la Russie.
C’est, de même, la teneur des propos de journalistes nord-américains, tels que Walter Lippmann, « qui se targue d’être le porte-parole le plus accrédité de l’opinion nord-américaine », et qui, après avoir dénoncé la menace de l’Allemagne et de l’Italie sur les petits États européens, déclare désormais sans ambages qu’une Europe divisée et fragmentée n’est pas viable et que la domination russe est une nécessité pour tous et en particulier pour les petits pays ; et tels que Constantin Brown : « Après la guerre, la Russie pourra à juste titre affirmer que son influence sur le continent européen est nécessaire pour la sauvegarde de la paix tant que l’Europe restera divisée en petits et débiles États indépendants. »
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Il Presidente del Consiglio dei Ministri dell’Albania illustra al Consiglio Superiore le basi dello Stato Albanese.
Onorevoli Consiglieri,
Il momento storico che, con l’Europa tutta, sta attraversando anche la nostra Albania, si presenta molto critico e chiede che i problemi nazionali più essenziali siano affrontati direttamente e senza indugi. Io ed i miei colleghi accettando in questo momento la grave responsabilità del Governo che S.M. il Re ci ha affidatto, siamo convinti di esserci assunti un compito difficile, ma nello stesso tempo la nostra coscienza di albanesi ci dice che non sottraendoci al difficile compito assolviamo un sacro dovere verso la Patria, dal quale dipende forse l’avvenire del nostro Paese.
Mi è però grato comunicarvi con grande gioia, che questo compito mi è, in certo modo, reso facile per il fatto che l’Italia, nell’intento di dimostrare ancor più palesemente la sua sollecitudine verso il popolo albanese, ci viene incontro nella soluzione di alcuni problemi fondamentali dello Stato.
Tra il Governo italiano ed il Governo albanese è stato infatti deciso:
1) La trattazione degli affari tra i due Governi sarà affidata ad un Delegato del Governo italiano presso il Governo albanese ed un Delegato del Governo albanese altresì risiederà a Roma.
2) L’accordo del giugno 1939 concernente la gestione delle relazioni internazionali dei due Stati sarà riveduto allo scopo di armonizzare la gestione degli affari esteri dell’Albania con la indipendenza del Paese.
3) Saranno create unità albanesi delle Forze Armate, con la bandiera nazionale, destinate a collaborare con le unità italiane nel territorio albanese.
4) La Gendarmeria, la Polizia, la Guardia di Finanza diventeranno organismi completamente albanesi e dipendenti dal Governo albanese.
5) La convenzione doganale valutaria del 20 aprile 1939 sarà riveduta allo scopo di mantenere l’Unione doganale senza che alle dogane albanesi venga tolto il loro carattere nazionale.
Allo scopo poi di raccogliere tutti i cittadini onesti e fedeli alla Dinastia Sabauda e alla Patria e di erigere così il più forte baluardo a difesa dell’indenpendenza e dell’integrità etnica della nostra Nazione, si è deciso di fondare la Guardia della Grande Albania che sarà l’organizzazione totalitaria dello Stato albanese.
Questi capisaldi che chiarificano nel miglior modo le relazioni tra i due popoli, sono la espressione della large e lungimirante concezione del Duce, il quale, dopo aver allargato i confini dell’Albania, ha voluto che gli albanesi potessero procedere da sè e con le proprie forze, verso l’avvenire. Al Creatore della Grande Albania, che oggi rafforza ancor più lo Stato albanese, l’intero nostro popolo rivolge a mezzo di questo Consiglio un pensiero di profonda riconoscenza.
La organizzazione totalitaria che prende nome dalla Grande Albania che Egli ci diede, custodirà intatti i principi della sua dottrina a cominciare da quelli che mettono gli interessi generali al di sopra degli interessi individuali, che presuppongono la collaborazione di tutte le classi sociali a favore dello Stato e che comandano di andare verso il popolo. Nella chiarificata atmosfera che le nuove realizzazioni immediatamente creeranno, la fiducia reciproca fra italiani ed albanesi sarà rafforzata e la loro fratellanza sarà completa.
Mi si permetta però di ricordare a questo Onorevole Consiglio che in dipendenza delle suddette decisioni noi, Governo e popolo albanese, ci assumiano una grave responsabilità. Roma ci è venuta incontro. Ora tocca a noi di comportarci in modo di meritare la fiducia che ci è stata accordata.
E’ dovere quindi di tutti i nazionalisti albanesi di aiutare il Governo nella repressione senza pietà di tutti coloro che operano a danno della Grande Albania e della Corona. E’ dovere di tutti i nazionalisti albanesi di aiutare con tutti i mezzi le Forze Armate, qualora essi siano chiamati a difenderla, entro la Patria o ai confini della Patria, lo Stato albanese.
Il Governo presieduto da me dovrà con ogni mezzo assicurare al Paese la tranquillità. Chi tocca il soldato italiano, smuove una pietra del confine della Grande Albania che quel soldato ha creato e che difenderà con noi. Chi si adopera per gettare il Paese nell’anarchia indebolisce la Patria e prepara il terreno alle invasioni straniere. Italiani ed albanesi hanno gli stessi interessi: chi turba la loro fratellanza tradisce la Patria e serve il nemico.
Onorevoli Consiglieri,
Il programma del Governo è lineare e risulta chiaro di quanto vi ho detto. Lo riassumo in poche parole:
1) Rafforzare in tutti i settori l’autorità dello Stato albanese;
2) mettere la Grande Albania in condizione di potersi difendere da ogni pericolo che la minacci sia dall’interno che dall’esterno;
3) assicurare la tranquillità ed i mezzi di vita a tutti gli albanesi.
Termino facendo un appello ai veri nazionalisti perchè si raccolgano intorno al Governo e lo aiutino a salvare la nostra amata Patria dall’anarchia che l’odio dei nemici vorrebbe creare. Unendoci tutti sinceramente con la «Besa» albanese, rimanendo fedeli fino all’ultimo al Re della Grande Albania per i comuni destini delle due Nazioni sorelle, cercando di rafforzare le fondamenta dello Stato possiamo essere sicuri che non solo supereremo felicemente i momenti critici, ma prepareremo anche alla Nazione giorni più tranquilli e felici.
Sento il dovere di concludere le mie parole invitandovi, Onorevoli Consiglieri, a rivolgere un pensiero riconoscente ai gloriosi che caddero per l’ingrandimento della nostra amata Patria e alle Forze Armate che ne sono il sicuro presidio.
Eccellenza Maliq Bushati Presidente del Consiglio
Albania-Shqipni. Rivista mensile di politica, economia, scienza e lettere. Anno IV – N. 1-2. Gennaio-Febbraio 1943-XXI.
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Maliq Bushati, ou Maliq bej Bushati, fut Premier ministre d’Albanie de février à mai 1943. Avant cela, il avait été député, opposant au roi Zog, de 1921 à 1923 puis de 1925 à 1937, et ministre de l’intérieur de 1939 à 1941. Il fut condamné à mort par les communistes albanais en 1946.
Avec ce texte non daté, paru dans la présente version italienne (sans nom de traducteur) dans la revue italienne Albania-Shqipni, janvier-février 1923, il s’agit d’une déclaration au gouvernement albanais à la tête duquel il vient d’être appelé.
Il rappelle les cinq points de l’accord italo-albanais destiné à régir les relations entre les deux pays, à savoir :
1) Le traitement des relations entre les deux gouvernements sera assuré par un délégué du gouvernement italien auprès du gouvernement albanais ainsi que par un délégué du gouvernement albanais auprès du gouvernement italien.
2) Le traité de juin 1939 concernant les relations internationales des deux États sera revu afin de mettre en conformité la gestion des affaires étrangères de l’Albanie avec l’indépendance du pays.
3) Il sera créé des unités albanaises des forces armées, avec leur propre drapeau, qui collaboreront avec les unités italiennes sur le territoire.
4) La gendarmerie, la police et la police douanière et financière (Guarda di Finanza) deviendront des entités entièrement albanaises et dépendantes du seul gouvernement albanais.
5) La convention douanière d’avril 1939 entre les deux pays sera revue de façon à maintenir l’union douanière entre les deux pays sans porter atteinte au caractère national des douanes albanaises.
Maliq Bushati annonce ensuite la création de la Garde de la Grande Albanie (Guardia della Grande Albania) comme « organisation totalitaire de l’État albanais », loyale à la patrie albanaise en même temps qu’au roi Victor-Emmanuel III (roi d’Albanie de 1939 à 1943). (La Garde de la Grande Albanie est en fait le nouveau nom donné par Bushati au Parti fasciste albanais, Partito Fascista Albanese, Partia Fashiste e Shqipërisë). Il rend hommage au Duce, « créateur de la Grande Albanie ».
En appelant au code traditionnel de l’honneur albanais, la besa, il demande la loyauté envers les autorités des deux « nations sœurs », l’Albanie et l’Italie, dans cette période troublée.
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Il popolo albanese riafferma la propria fiducia nei destini della Patria rivolgendo il pensiero riconoscente al Sovrano e al Duce.
Dopo la riunione del Consiglio Superiore Fascista Corporativo del 23-12-1942-XXI sono giunti al Presidente del Consiglio dei Ministri i seguenti telegrammi :
Da Gijlan
Le dichiarazioni dei Ministri Eden, Cordell Hull e Molotov sono in contrasto con i nostri più sacri diritti, acquistati con il sangue dei nostri figli. Come rappresentanti e notabili del popolo di Gijlan, protestiano energicamente contro le suddette dichiarazioni, che sono fuori luogo e violano l’integrità etnica della nostra Nazione. Siamo pronti a difendere in ogni occasione con il nostro sangue ogni palmo di terra albanese, con l’aiuto delle Potenze liberatrici dell’Asse.
Qamil Sadik, Jusuf Reshiti, Jusuf Xhindi ecc…
Da Puka
I notabili di questa Sottoprefettura, dopo aver udito con disprezzo le dichiarazioni dei Ministri Eden, Cordell Hull e Molotov, in segno di protesta e sicuri dell’immancabile vittoria dell’Asse, affermano in modo solenne che i confini etnici dell’Albania segnati dal sangue dei martiri, con lo stesso sangue verranno custoditi.
I notabili di Puka: Dash Disdari, Shaban Myftari, Ymer Bardhoshi ecc…
Da Alessio
Il popolo di questa città e dei cinque bajrak di Alessio, si unisce unanimemente nella riprovazione contro i vili discorsi pronunciati negli Stati con cui siamo in stato di guerra. La situazione politica presente e futura, dell’Albania, che assicura l’integrità etnica della Nazione albanese, è difesa dall’Esercito dell’Impero di Roma. Il popolo di Alessio, ai Vostri ordini, è sempre pronto, con orgoglio, a difendere fino all’ultimo l’indipendenza della Grande Albania, segnata da secoli.
M. Marksub, Bajraktar di Alessio; Geg Pergega, Bajraktar di Kryeziu; Gjel Pjetri, Bajraktar di Manati ecc…
Da Corcia
Rappresentato da tutte le classi, il popolo di Corcia, unito oggi dinanzi al Municipio della città, esprime la sua indignazione contro le dichiarazioni dei Ministri Eden, Cordell Hull e Molotov, in contrasto con i nostri più sacri diritti; quelle dichiarazioni rivelano i fini reconditi dei nostri nemici contro l’integrità etnica e territoriale d’Albania. Condividendo il punto di vista del Regio Governo e del Consiglio Superiore Fascista Corporativo, il popolo protesta energicamente contro i disegni diabolici del nemico. La Nazione albanese, come Stato libero e sovrano nella Communità Imperiale di Roma, difenderà fino all’ultima goccia di sangue i confini della nostra Grande Albania e l’integrità etnica della Nazione. Esso non tollererà mai che si violi un palmo del territorio della nostra Patria; noi raggiungeremo questo santo scopo con l’aiuto di Dio e sotto la guida e gli auspici dell’amatissimo Re Imperatore e del grande Duce del Fascismo, e con l’aiuto morale e materiale delle Forze Armate dell’Asse. Con questo sentimento e desiderio ardente acclamiamo ad una grande e libera Albania nei suoi confini etnici.
Il Vescovo Agathangjeli, il Capo Mufti H. Xaferi, Vasil Marko ecc…
Da Struga
Il popolo di questa città, riunitosi oggi per disapprovare energicamente i discorsi sull’avvenire dell’Albania tenuti dai dirigenti politici anglo-americani e russi, mi ha incaricato di rendermi interprete presso l’Eccellenza Vostra dei suoi sentimenti di riconoscenza verso la Potenza che l’ha liberata dall’insostenibile e barbaro giogo slavo, impostole col Trattato di Versaglia. Questo popolo è fermamente convinto che, soltanto con la definitiva vittoria delle gloriose Potenze dell’Asse, la sua libertà sarà completamente sicura, sotto la bandiera dello Skanderberg e nei suoi confini naturali, segnati dal sangue sparso per tanti secoli. Questo popolo è deciso a combattere fedelmente in stretta unione con l’Esercito Imperiale fino all’ultima goccia di sangue, quanto per la realizzazioni del Nuovo Ordine nel mondo.
Il Podestà: Jak Ndoi.
Da Prizrend
(…)
Da Kerçova
(…)
Dalla Malsija di Scutari
In nome dei territori liberati della Grande Malsija, Hot, Gruda, Kelmend, Fundë, Koçë, Plava e Guci, insieme a tutto il Cossovo, dichiarano che non abbandoneranno i confini, prima di essere tutti morti e distrutti, perchè questi confini sono nostri, e noi siamo dello stesso sangue degli altri fratelli albanesi.
Prenk Kali.
Da Prishtina
I notabili della città, il clero albanese, i rappresentanti del popolo e la gioventù, camerati Shyqyri Ramadani, Haxhi Iljazi, Haxhi Abdyli, Ymer Haxhi, Mehmet Hystref Begu (ecc…), spontaneamente riuniti nel Municipio, mi hanno incaricato di esprimerVi la loro solidarietà alle proteste elevate dall’Eccellenza Vostra e dai membri del Consiglio Superiore Fascista Corporativo, contro le dichiarazioni fatte sull’Albania da Eden, Corden Hull e Molotov, rappresentanti delle false democrazie, le quali si son sempre prese gioco del destino del nostro popolo ed hanno agito contro gli interesi della Nazione albanese. Tutto il mondo deve sapere che i confini dell’Albania comprendono i territori dove vive una maggioranza d’albanesi, e non vi sarà forza al mondo che possa decidere diversamente, poichè il Cossovo ha deciso di votarsi alla morte piuttosto che dividersi dalla Patria, avendo sofferto abbastanza, in grazia alle promesse democratiche, una trentennale schiavitù. Eccellenza, l’atmosfera in cui scriviamo questo telegramma è commovente, poichè dinanzi al Municipio si è raccolto il popolo e la gioventù, i quali, solidali con i loro rappresentanti che sono all’interno, elevano la voce contro il veleno che le pseudo democrazie spargono per ammorbare la vita del popolo d’Albania, tentando di prendersi gioco del destino di questa Nazione, che è unita per la vita e per la morte con le Potenze dell’Asse nel quadro dell’Impero di Roma fascista, dove ha trovato protezione ed aiuto fraterno e donde è venuta la libertà dai nemici interni ed esterni del popolo e della Nazione albanese. Eccellenza, Vi preghiamo di renderVi interprete di questi sentimenti della città di Prishtina presso l’Eccellenza il Luogotenente del Re, a cui abbiamo anche particolarmente dato comunicazione, e di portare a conoscenza del mondo che l’Albania è degli albanesi, e che gli albanesi hanno scelto la loro strada a fianco dell’Asse. Eccellenza, il popolo e la gioventù, cantando inni nazionali, continuano a manifestare per le vie della città, acclamando al Re, al Duce, al Governo albanese, alla Grande Albania e ai combattenti dell’Asse, e maledicendo chiunque voglia seminare dissidi nella vita del popolo albanese.
Il Podestà: Hysen Prishtina.
Albania-Shqipni, Febbraio 1943-XXI
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« Le peuple albanais réaffirme sa confiance dans la destinée de la Patrie en adressant une pensée reconnaissante au Souverain et au Duce. »
« Après la réunion du Conseil supérieur fasciste corporatiste du 23 décembre 1942, sont parvenus au président du Conseil des ministres les télégrammes suivants : »
Suivent différents télégrammes envoyés d’Albanie.
Les signataires de Giljan et Puka expriment leur opposition à la déclaration Eden-Hull-Molotov de décembre 1942 relative à l’Albanie, qui, selon les signataires, « viole l’intégrité ethnique de l’Albanie », pour laquelle les signataires se déclarent prêts à combattre aux côtés des forces de l’Axe. (Cette déclaration, exprimant le vœu d’une Albanie indépendante tout en renvoyant la question de ses frontières au règlement du conflit, est discutée plus en détail dans le document suivant.)
Les signataires d’Alessio et de Corcia, dans une veine similaire, affirment que les frontières de la Grande Albanie sont seules garantes de l’intégrité ethnique de la nation albanaise et qu’ils combattront pour sa défense aux côtés des forces de l’Axe.
Le podesta de Struga en appelle lui aussi à la victoire des puissances de l’Axe pour garantir la liberté de l’Albanie « sous le drapeau de Skanderberg ».
Le signataire de Scutari, « au nom des territoires libérés de la Grande Malsija, de Hot, de Gruda, de Kelmend, de Fundë, de Koçë, de Plava et Guci, ainsi que de l’ensemble du Kosovo », déclare que les Albanais n’abandonneront jamais ces frontières car le sang des Albanais est un.
Le podesta de Pristina, plus grande ville du Kosovo, accuse les « fausses démocraties » d’avoir toujours intrigué contre les intérêts de la nation albanaise et affirment que le Kosovo a juré, après trente années d’esclavage, de ne plus jamais être séparé de la Grande Albanie.
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La risposta dell’Albania ai nemici della sua integrità etnica e territoriale (Albania-Shqipni, Anno III, N.12, Dicembre 1942-XXI)
Il Discorso del Presidente del Consiglio Superiore Corporativo Fascista di Tirana
Sig. Mustafa Kruja
Camerati,
Non è senza una certa soddisfazione che io comunico che in questi ultimi giorni la nostra Albania è stata oggetto di manifestazioni ufficiali nelle tre grandi capitali delle Potenze con le quali noi ci troviamo in stato di guerra : i Ministri responsabili della Gran Bretagna, degli Stati Uniti e dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche hanno fatto l’uno dopo l’altro, direi quasi in coro, importanti dichiarazioni ufficiali sulle sorti del nostro Paese a guerra conclusa. A loro hanno fatto eco la stampa e le agenzie ufficiose ed il Presidente del Governo greco con sede a Londra.
Finora i paesi nemici, almeno negli ambienti ufficiali, si erano chiusi in un ermetico silenzio nei riguardi dell’Albania, quasi se la nostra Patria, in questa gigantesca mischia fra le Nazioni, fosse una quantità trascurabile. Ora, invece, i loro uomini di Stato se ne sono ricordati d’un tratto e tutti insieme. Quale la causa di questo risveglio diplomatico improvviso per questo lembo finora ignorato dell’Europa sud-orientale ? Indubbiamente una tattica di guerra. Tutto oggi è in funzione della guerra. L’obbiettivo, dunque, delle dichiarazioni fatte a Londra, Washington e Mosca al nostro riguardo è il disarmo spirituale di questo magnifico nostro popolo che ha tenuto, anche nei momenti più critici della guerra combattuta sul nostro suolo, un contegno esemplare di disciplina e di patriottismo.
I signori Eden, Cordell Hull e Molotoff si disinganneranno. Capiranno quanto siano lontani dal conoscere l’anima albanese. S’accorgeranno di avere ottenuto precisamente l’effetto opposto al loro scopo.
Le menzogne nemiche.
Vi leggerò ora i testi delle loro dichiarazioni.
L’Agenzia «Reuter» trasmetteva il 18 novembre u. s. il seguente comunicato in lingua francese :
«Ai Comuni Antony Eden ha dato assicurazione che l’avvenire dell’Albania non sarà, al regolamento finale della pace, influenzato da qualsiasi cambiamento verificatosi in seguito all’aggressione italiana.»
Con questa dichiarazione sibillina di autentica marca inglese del Sig. Eden, il Governo della Gran Bretagna fa sapere dunque chiaramente al popolo albanese che nessun genere che riguarda l’Albania, e che sia avvenuto dopo il ‘39, sarà preso in considerazione al regolamento finale della pace.
Lo stesso Ministro Eden dichiarò ai Comuni il 17 corrente quanto segue :
«Il Governo britannico desidera vedere l’Albania liberata dal giogo italiano e restituita alla sua indipendenza. Alla fine della guerra deciderà il popolo albanese alla forma di regime e di governo da dare al Paese».
«Ciò non porta pregiudizio alla situazione dell’Albania in relazione agli accordi futuri che potranno intervenire fra i diversi Stati balcanici. La questione delle frontiere albanesi sarà regolata alla fine della guerra».
La «Reuter» ci trasmetteva il giorno dopo il seguente commento ufficioso del «Times»:
«Sulla questione delle future frontiere dell’Albania liberata, Eden ha dimostrato una riserva prudente. Il problema sarà risolto mediante un accordo fra l’Albania e i suoi vicini. Solamente nel caso in cui questo modo dovesse fallire, il compito dovrebbe essere rimesso alle potenze rappresentate alla conferenza di una eventuale pace».
Un altro comunicato «Reuter» dello stesso giorno suona nei seguenti termini:
«Il Governo greco a Londra ha approvato il desiderio della Gran Bretagna di vedere l’Albania indipendente. In una comunicazione ufficiale il Governo greco ha espresso la sua soddisfazione per la dichiarazione di Eden che lascia aperte le decisioni territoriali che interessano la Grecia e accoglie favorevolmente l’allusione britannica all’interesse speciale delle potenze balcaniche nei riguardi dell’Albania».
Questo comunicato ufficiale greco viene completato dal seguente comunicato ufficioso inglese che trasmetteva Radio Londra il 20 corrente:
«A quegli albanesi pessimisti per natura, i quali nella frase «i confini albanesi saranno stabiliti dalla conferenza della pace», non vedono chiaro, ricordiamo l’art. 4 della Carta dell’Atlantico dove è detto testualmente : «Nessun pezzo di territorio sarà dato ad un altro Stato senza il consenso della popolazione manifestato attraverso un plebiscito». Dunque la paura di una nuova occupazione dell’Albania dopo la guerra, non ha alcun senso».
Radio Londra smascherata.
Camerati,
Tralasciamo l’eco americano e russo alle dichiarazioni ufficiali britanniche, che è su per giù in termini identici o similari.
Che cosa risulta in sostanza per l’Albania da questo coro di dichiarazioni ufficiali e di commenti ufficiosi? Ecco :
- Che la nostra unità nazionale, conquistata col sangue dei nostri figli e dei valorosi soldati dell’Asse sarebbe una chimera, poichè la Gran Bretagna e i suoi alleati non la riconoscerebbero.
- Che le mire territoriali dei nostri vicini anche sulle vecchie provincie albanesi rimangono intatte, e favorite dai loro grandi alleati inglesi, americani e russi.
- Che, soddisfatte tutte le cupidigie altrui sul sacrosanto suolo della nostra Patria, quel misero pezzo di terra che dovrebbe esserci generosamente regalato, probabilmente fra due fiumi che si chiamano Voiussa o addirittura Shkumbini da una parte e Drini o piuttosto Mati dall’altra, costituirebbero lo Stato libero e indipendente dell’Albania.
- Che, infine, in questo chimerico Stato, il popolo albanese, o più esattamente, circa mezzo milione di albanesi che formerebbero la popolazione di questo Stato, sarebbero liberi di scegliere il regime e il governo che volessero, purchè, anche in questo caso, rimanessero impregiudicate le eventuali disposizioni intervenute fra le diverse potenze balcaniche.
La risposta dell’Albania.
Ebbene, a queste criminose intenzioni nemiche, io, a nome di tutto il popolo albanese, rispondo sdegnosamente: NO !
Rispondo, con le fiere parole del Duce, che le frontiere della Patria non si discutono, si difendono. Noi difenderemo col nostro sangue, fino all’ultimo uomo che porti un fucile, tutte le nostre frontiere, quelle del Nord come quelle del Sud. Gli eroici soldati dell’Asse, che ci hanno aiutato a conquistare la nostra unità nazionale, il glorioso esercito imperiale, che fa buona guardia a questa sacra conquista, valgono più di tutte le chiacchiere di Londra, di Washington e di Mosca.
Quanto alle insinuazioni dei falsi paladini della libertà dei popoli, noi rispondiamo:
- Che una Nazione è libera in quanto è vitale e che prima della sua libertà pensa alla sua esistenza e alla sua vitalità. Chi ci nega la vita non può parlarci di libertà.
- Che la Nazione albanese si sente molto più indipendente nella Comunità Imperiale di Roma, dove è entrata spontaneamente a far parte come Stato libero e sovrano, che non in balìa dei suoi vicini rapaci, o in una eventuale unione di Stati balcanici con Belgrado per epicentro politico.
- Che il Governo britannico, prima di parlare della nostra libertà, conceda questo beneficio ai suoi popoli asserviti : Irlanda, Egitto, Africa del sud, India.
(…)
L’Assemblea ha quindi approvato, per acclamazione, il seguente ordine del giorno:
Il Consiglio Superiore Fascista Corporativo,
Sentite le communicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri intorno alle dichiarazioni del Segretario di Stato per gli Affari Esteri di Gran Bretagna Eden e dei suoi colleghi statunitense e russo, nonchè a quella del sedicente Governo Greco a Londra;
Constatate in quelle dichiarazioni ancora una volta le subdole intenzioni dei nemici eterni della Nazione Albanese contro la nostra integrità etnica e territoriale;
Assicurato dal Governo Reale che tutte le frontiere della Grande Albania saranno difese con tutti i mezzi e fino all’ultima goccia di sangue;
Porta il suo pensiero rispettoso e devoto ai combattenti albanesi, italiani e tedeschi caduti sul campo d’onore per la realizzazione della nostra unità nazionale e d’un nuovo ordine mondiale come l’ha auspicato, voluto o preannunziato il Duce del Fascismo Benito Mussolini;
Saluta con incrollabile fede tutte le Forze Armate dell’Asse che combattono su tutti i fronti per raggiungere l’immancabile vittoria;
Assicura le Forze Armate d’Albania che l’intero Popolo albanese è con loro per la difesa della sua integrità etnica, voluta da S.M. il Re Vittorio Emanuele III e da Lui annunciata nel messaggio al Popolo albanese in occasione del trentennale della nostra indipendenza;
Esprime la ferma volontà della Nazione di rimanere Stato libero e sovrano nella Comunità Imperiale di Roma, della quale spontaneamente è entrata a far parte e in cui sente assicurate la sua indipendenza e la sua integrità etnica;
Ritiene che la migliore risposta alle minacce ed alle insinuazioni nemiche sia la più estesa partecipazione del Popolo albanese alla difesa del suo territorio già in atto con l’aumento dei Reggimenti Cacciatori d’Albania che è in corso di esecuzione.
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Mustafa Kruja, ou Mustafa Merlika Kruja, fut Premier ministre d’Albanie de 1941 à 1943 (« président du Conseil corporatiste fasciste »). Il avait été l’un des signataires de la déclaration d’indépendance albanaise vis-à-vis de l’Empire ottoman en novembre 1912, puis ministre et député.
« La riposte de l’Albanie aux ennemis de son intégrité ethnique et territoriale »
Dans ce discours, Kruja évoque la déclaration conjointe Eden-Hull-Molotov concernant l’Albanie, déclaration qui exprime le souhait de l’indépendance du pays par rapport à l’Italie tout en renvoyant la question des frontières au règlement du conflit.
Comment l’Albanie, qui venait de recouvrer, avec l’appui de l’Italie, les territoires qui lui avaient été arrachés par la Serbie soutenue par les puissances anglo-saxonnes, pouvait-elle bien accueillir une telle déclaration, laissant pendante la question des frontières à un règlement des conflits où les Serbes et autres Panslaves auraient eu l’oreille de l’Angleterre et de la Russie ?
C’est pourquoi Kruja résume la déclaration en quatre points :
1) L’unité nationale albanaise est une chimère aux yeux de la Grande-Bretagne et de ses alliés.
2) Les visées territoriales des voisins slaves de l’Albanie restent intactes et sont favorisées par les Alliés.
3) Une fois ces visées satisfaites, l’État albanais ne sera plus que le territoire compris entre les fleuves Voiussa et Drin.
4) Cet État comptera quelque 500.000 habitants qui seront libres de choisir la forme de leur gouvernement à moins que les puissances balkaniques ne fassent agréer des dispositions particulières aux Alliés.
À quoi Kruja est bien sûr opposé, ajoutant trois remarques concernant le vœu des Alliés d’une Albanie libre et indépendante.
1) Une nation n’est pas libre si on la prive de sa vitalité. (Ce qui signifie, je pense, que la vitalité et donc la liberté de l’Albanie dépendent du maintien des frontières de la Grande Albanie.)
2) La nation albanaise se sent bien plus indépendante au sein de la Communauté impériale fasciste, « où elle est entrée de plein gré comme État libre et souverain, que si elle était à la merci de la rapacité de ses voisins ou entrait dans une éventuelle union d’États balkaniques avec Belgrade comme épicentre politique ». (Autrement dit, l’Albanie, qui a déjà connu le joug serbe, ne souhaite pas le subir de nouveau.)
3) « Le gouvernement britannique, avant de parler de notre liberté, devrait d’abord la concéder aux peuples qu’il tient en servitude, en Irlande, en Égypte, en Afrique du Sud, en Inde. » Ce qui était bien envoyé.
Kruja fait par conséquent adopter une résolution selon laquelle la nation albanaise souhaite rester un État libre et souverain au sein de la Communauté impériale de Rome. On l’a vu, il s’agit au fond de dire « Rome plutôt que Belgrade ».
Les objections de Kruja à la déclaration des Alliés ne manquent pas de pertinence, comme la suite des événements l’a montré. L’Albanie est entrée dans l’orbite soviétique et l’on peut par conséquent douter qu’elle ait choisi sa forme de gouvernement, dans la mesure où le régime communiste s’est imposé par les armes au cours de la guerre et non par un « plébiscite » selon l’article 4 de la Charte de l’Atlantique tel qu’annoncé dans la déclaration. Par ailleurs, le pays a perdu ses frontières de Grande Albanie, notamment le Kosovo, de nouveau au profit de la Yougoslavie, ce qui, à la suite de l’effondrement du bloc soviétique, a donné lieu à la guerre du Kosovo et au règlement de ce conflit, après l’intervention de l’OTAN, par l’indépendance du Kosovo. Une sorte de compromis entre Albanais et Serbes puisque le Kosovo n’est ainsi ni dans l’Albanie ni dans la Serbie.